domenica 11 gennaio 2015

Questioni vecchie, argomenti di un certo anacronismo, sballo, vetriolo.


Questo pomeriggio, in preda a una noia terroristica, decido dopo mesi di titubanza di farmi un giro, che ha del masochistico, attraverso alcuni video musicali su una piattaforma famosissima dell’internet internazionale. I video in questione rappresentavano blasonati, carini e ben vestiti gruppi “indie” della nostra cara nazione al centro del mediterraneo. [Respirare a pieni polmoni]. 


Dopo alcune visioni portentose scelgo di focalizzare la mia attenzione su un video di un gruppetto marchigiano con tanti like su faccia libro, tipo duemila e qualcosa, un bel sito e un album uscito l’anno scorso.  Un confettino.


Ma torniamo al video e alla cinematografia immortale. I componenti del gruppo, quattro, erano immersi in un'atmosfera urbana super bella, col capello laccato, i vestiti di tutto punto. Si passa poi dalla strada ad un locale simil vintage hipster. Oddio. Colori troppissimo giusti, fotografia troppissima giusta, nessuno scarto alla norma. Ombrellini, ragazze, canidi.


 Ma qui attenzione si vola: il gruppo fa finta di suonare strumenti invisibili dentro il locale, attori e comparse divagavano di qua e di là cercando di dare, sotto l’occhio vigile del regista, una parvenza di senso artistico al tutto e successivamente il protagonista insieme ad altri battono macchine da scrivere invisibili dentro quello che dovrebbe essere un ufficio. Un tripudio.


 Comunque sì, diciamolo, perché se no ci si perde, il video dovrebbe raccontare in pochi minuti la storia di un uomo contemporaneo che vive la sua vita liquida contemporanea,  dentro una città contemporanea, nel post di una relazione sentimental contemporanea. Quindi: sveglia, bar, lavoro, sport, struggimento ecc, ecc.  Cioè, almeno è quello che ha capito il mio cervello in eccedenza di serotonina. 


Attenzione, attenzione però: musicisti italiani che cantano in italiano. Così, tanto per dirlo. Bene, rimango ancora concentrato per dedicarmi all’aspetto musicale. Tutto scorre, tutto va, non voglio dire dove e ci si becca strofa, ritornello, strofa, passaggio ponte effettato, che fa tanto “senti guarda sto shhperimendando”, e sezione finale, più o meno uguale al ritornello, e il pezzo si chiude, il video finisce.

  

Rimugino sul testo e anche in toto. Mi dico: dai, c’è dell’impegno, avverto un nonché di naif, si respira un profumo di sala prove di provincia, dai di contenuto, o’ per bacco di messaggio. Mi sfianco. 


Ho una leggera debacle con me stesso e porca schioppa alla fin fine mi sorgono delle domande e scusatemi se è poco: ma i musicisti saranno mai all’altezza dei loro testi? E’ posa, è retorica, è pura letterarietà? C’è della critica sociale?  Non lo so. Non vengo sopraffatto da nessuna sensazione in particolare, rifletto ancora. Mi applico ancora cinque minuti ma niente e per passare l’impasse decido che scriverò sta stronzata e raggiungo il verdetto: il pezzo e il video non mi hanno trasmesso nulla. Nessun punctum.


 L’unica cosa che ricordo è un senso di vuoto e qualche sprazzo del testo che non rimembro neanche benissimo, diceva più o meno: “viviamo parentesi di frasi senza apostrofo”, “siamo vite come spezzoni tagliati di un film”. Avrò trascritto male sicuramente, chiedo venia. A questo punto come fosse legge di natura dovrei continuare a scrivere qualcosa ma non lo faccio, no. 


Aggiungo infine soltanto che il gruppo dovrebbe tramite il video, l’album e la canzone testimoniare, con le note dei loro strumenti nel cielo della creatività dell’infinito, quello che “loro stessi" scrivono sul loro sito: “Cieli coperti su spiagge di bagnanti. Il senso d’impotenza di una generazione, come un forziere di contanti di una valuta non più in vigore. La mutezza dei monumenti e dei centri storici, baluardo di una tradizione svuotata di storia e memoria. E poi la disperata ricerca di autenticità in rapporti sempre più sfilacciati, minati da una precarietà geografica ed esistenziale senza precedenti.


Certo.


Ah, il (non) suddetto gruppo (i Lettera 22), pardon, condivide un’omonimia con un duo noise drone anch'esso italiano. 


Riflettere, riflettere, riflettere, se vi pare.


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