Scrivere per un gruppo che per questioni geografiche
appartiene alla tua stessa città di origine potrebbe riservare conseguenze
inaspettate e di parte, ma non è il mio intento, lo affermo, o almeno proverò a
limitare le lodi superflue. Nel caso degli Aetnea, quasi sicuramente, la mia
reazione estetica è di pieno appoggio al loro lavoro, fatto con precisione,
eleganza e con intento di chi sa che quel che vuole. Il loro progetto prende il
via nel 2009 da parte di Luca “Bj” Bajardi, Boris Giuffrida ed Enrico Strano,
con la volontà artistica di superare certi cliché e stereotipi insiti in alcuni
ambienti musicali e come scrivono loro stessi sul proprio manifesto in rete: “superato
un approccio classico al rock metal e all'elettronica, il collettivo aetnea
prende il suo abbrivo con soluzioni nuove ai problemi di line-up, percorrendo
strade convergenti tra generi diversi” […]. Infatti, partiti come terzetto, il
gruppo si è avvalso di vari collaboratori per la registrazione dell'album
omonimo, uscito di recente, registrato agli Overflow Studio di Catania.
All'interno del lavoro si susseguono e si miscelano attenti
vari suoni e generi: dal post-metal al jazz e dall'elettronica al dub. L'album
si presenta tra pezzi che suonano come veri e propri affreschi cinematici electro-ambient
(We Love..., Bile Gialla, EyE) e pezzi programmatici che mettono in risalto, in
maniera ben più evidente, le idee del collettivo.
Si inizia con Vartan
Dub, contraddistinta per pulsioni dub rock e ritmi math che ci consigliano come
i ragazzi la sappiano lunga su Meshuggah e affini. Odessus, invece, ci porta
nei territori post-metal degli Isis e i muri di suono alla Pelican, una calma
rabbia si prende gioco di noi, vuole rilassarci ma è magma puro che cola dalle
frange degli strumenti, pieni di pathos, con un clarinetto che si giostra come
onirico alle spalle dei giochi di suoni del pezzo, ameno da ogni
autoreferenzialità. Béla Bartók, è uno tra i due pezzi manifesto, insieme alla
cover 4'33'' di John Cage, per quanto riguarda influenze d'avanguardia (difatti
il nome del pezzo è tutto un programma). Si notano l'ottimo l'uso della voce e
soprattutto l'uso orientaleggiante del sitar. Contrappunto è o sembra pura
computer music, pezzo contorto, ma di ampio gettito che sposta il mood
dell'album su riflessioni altre, rispetto alle sezioni più analogiche del
lavoro. Per Atrabile, mi sembra quasi scontato, il mio primo pensiero è volato
verso Emidio Clementi (Massimo Volume, El Muniria), ovviamente, per l'uso
narrativo ed emozionale della voce. Per quanto riguarda l'aspetto strumentale,
rimaniamo su territori già visitati, chitarre post-rock, field recordings e
consona esplosione apertura strumentale ad accomiatare il pezzo. Se John
Coltrane potesse almeno per un attimo capire da là su che l'ultimo pezzo del
comparto (Giant Things) ha per titolo una citazione-combinazione di due dei
suoi tanti capolavori: Giant Steps e My Favorite Things, di certo ne sarebbe
entusiasta o almeno porgerebbe la mano agli Aetnea per l'uso superbo delle
citazioni. Comunque, il pezzo(ne) scorre coraggiosamente alternato tra jazz,
elettronica d'atmosfera e rock malato ponendo un “full stop”, deciso e nobile,
all'album. Una fine che sa di auspicabile continuità futura, per progetti a
venire, per nuovi sviluppi sonori, per tutto. Se per ovvietà oggettiva, questo
è un lavoro da band emergente, “figlia”di un humus territoriale che ha già in
passato dimostrato prove eccelse, farà parlare di se per ragioni che solo
l'ascolto ci potrà chiarire ed evidenziare. Semplice e letterale, una parola: meritano.