mercoledì 19 dicembre 2012

Alabama Songs Promotion è tra noi. Quando la musica diventa passione (o viceversa).



La Alabama Songs Promotion è un neonato ufficio stampa per la promozione, sul web e su altri canali tradizionali, di novità discografiche in uscita, live, eventi e qualsiasi altra emanazione abbia a che fare con l'arte musicale e i suoi sobborghi. Stiamo partendo ufficialmente con questo nuovo progetto altero. Siamo una ghenga di giovinastri, tutti gravitanti da tempo in quello gnommero chiamato “mondo artistico-musicale” (recensioni di dischi, uffici stampa, poesia, musica), che hanno deciso di mettere in pratica professionalmente la proprie conoscenze acquisite nel tempo, ma soprattutto la propria passione, al servizio di chi vuole ampliare la diffusione e la conoscenza delle proprie creature musicali.

Oggi più che mai è nodale l’estrinsecazione e il lancio di un nuovo lavoro artistico, e soprattutto tale  divulgazione è decisiva sul web, questo aere virtuale e intricato, per fortuna o purtroppo, sempre più interzona globale; non dimenticandoci, ovviamente, di canali di promozione più tradizionali (e non). Se avete un disco in procinto di essere pubblicato, dei live da promuovere o eventi, contattateci, e vi informeremo al più presto sulle nostre tariffe e sui nostri servizi.


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New L'Ink Free Press n.6 - Novembre/Dicembre 2012


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E' online (e cartaceo in tutti i point da mercoledì diciannove dicembre) il nuovo numero (novembre-dicembre) di New L'Ink . Tra le tante cose interessanti che troverete all'interno anche l'intervista a Hugo Race di Sisco Montalto. Per i dischi del mese: Paolo Saporiti con "L'ultimo ricatto", recensione di Salvatore La Cognata e una mia recensione per "Oro: Opus Alter" degli Ufomammut.


NEWL’INK si rivolge a tutti coloro che hanno voglia di approfondire, attraverso la lettura e la visione di ottime immagini, argomenti culturali inerenti all’Arte, alla Letteratura, Architettura, Design, Musica, Cinema, Teatro e Sport. L’impostazione fortemente autonoma e coerente con un proprio punto di vista, una veste grafica essenziale quanto comunicativa, un formato agevole, una distribuzione gratuita e programmata o puntuale e a domicilio, un team giornalistico serio e professionale, notizie nazionali ed estere, ecc. fanno di Newl’ink un piacevole strumento giornalistico.


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lunedì 29 ottobre 2012

East Rodeo - Morning Cluster (2012) – Menart Records/El Gallo Rojo/Pulse



Quando anni fa una mia cara amica, che non vedo e sento da tempo, mi fece ascoltare per la prima volta gli East Rodeo (credo fosse il duemilasei o duemila sette), per il fatto che li conosceva di persona e me ne raccontava alcuni retroscena, rimasi piacevolmente colpito dalla loro personalità e commistione di suoni. Essi andavano dal burlesco, ai ritmi slavi, al rock di matrice zappiana, crimsoniana e da influenze alte come Cage e Stockhausen.  Oggi, per puro caso e perché ho in mano il “nuovo” lp (per la verità già uscito per il mercato croato nel duemila undici)  della band, mi ritrovo a pensare a quei giorni e a scrivere una recensione che va al di là, diciamo, di quelle scritte fino a oggi; la nostalgia, sigh!


Il gruppo nasce nel duemiladue dalle forze creatrici dei fratelli croati Sinkauz (Nenad e Alen), e insieme ad altri musicisti nel duemila quattro portano al compimento Kolo, loro prima uscita discografica. Poi nel duemila sette con un significativo cambio di line-up (entrano Alfonso Santimone alle tastiere, all’elettronica e al programming e Federico Scettri alla batteria), al tutt’oggi stabile, fanno uscire Dear Violence . Per Morning Cluster  il discorso riprende da lì, e cioè stiamo parlando di un album ricco d’influenze e ricerca, dove da un lato possiamo scorgere dalle fibre delle composizioni delle solide basi math-rock, noise, post-rock  e se vogliamo anche del jazz (indubbia conseguenza degli studi di alcuni dei componenti) parliamo per esempio di  pezzi come “Trom”, “Mrs. Cluster” o “Re: Trom”. Dall’altra parte, invece,  ci sta la personalità più sperimentale del quartetto, ovvero le tessiture elettroniche e programmatiche (“939 Hz”, “Ballad Of LC”, “Brod”) che con le loro fitte ragnatele di suoni delineano un ascolto più avvincente ma sicuramente non facile, ma man mano che gli ascolti si fanno più numerosi rendono l’insieme più  vicino e chiaro alle nostre meningi.


Un altro aspetto decisamente da non sottovalutare sono le composizioni dove vi è una leggera ma decisa estrinsecazione della voce. Per l’appunto la band in questo album si è avvalsa di significative e importanti collaborazioni dal panorama indipendente internazionale  e italiano. Difatti, sono proprio i pezzi dove i nostri musicisti si avvalgono di “featuring” in cui la voce esce la testa dal turbinio squadrato degli strumenti . Per intenderci, stiamo parlando di nomi come Marc Ribot(Tom Waits, John Zorn, Lou Reed, ecc.) in “Crin Gad”, “Straws In Glass” e “American Dream” , Warren Ellis (Nick Cave and the Bad Seeds, Dirty Three) in “Step Away From The Car” e lastbutnottheleast  Giulio Ragno Favero (Teatro Degli Orrori, One Dimensional Man) alla produzione e coltelli in “Straws In Glass”.


Che dire più? Ah, grazie amica cara.


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domenica 30 settembre 2012

Ufomammut – Oro: Opus Alter (Neurot Recordings) - 2012



Uscirà il diciotto settembre “Oro: Opus Alter” degli Ufomammut, l'aurea parte seconda di quel magniloquente concept album che aveva avuto inizio con l'opera “Oro: Opus Primum” (http://www.elicona.it/index.php?option=com_content&view=article&id=253:ufomammut-qoroopus-primumq-2012&catid=34:recensioni-&Itemid=2 ) uscita lo scorso aprile.


Il discorso è e rimane ben consolidato con quello che era stato, più o meno, detto e fatto pregevolmente nella prima parte dell'opera. E cioè, scosse telluriche doom immense, alternate a momenti space-ambient, si mescolano come in un calderone da rituale di  magia nera a un impasto psichedelico di cosmica memoria. Difatti, il gruppo con l'attuale lavoro rimane aggrappato o meglio dire, porta avanti una dissertazione sonora audace e tendenzialmente sperimentale, suggellata anche da un'eredità discografica, pur recente, che si manifesta sopratutto attraverso i loro ultimi quattro album, che li hanno portati di lavoro in lavoro verso territori ben più complessi, ossia l'opera concettuale in album. Comunque, se le nostre vedute musicali rimangono aperte a un confronto estetico a quello che oggi ci offre il panorama italiano e, innanzitutto, pensiamo al blasonato “indie”, possiamo spiegarci e spiegare il perché del suddetto “tendenzialmente sperimentale”, riferito all'album in questione.


Dopo vari ascolti, però, l'insieme è vittima di piccole increspature, e possiamo evincerne, rimanendo su grandi linee e confrontandolo col predecessore che non sia tutto un elogio. La mole di materiale che un genere come quello che gli Ufomammut suonano, ha creato decisamente numerose produzioni; appunto, la scena doom metal e heavy psych ha antesignani e pionieri con un bagaglio d'esperienza che supera, più o meno da i gruppi, un quindicennio. Risultare innovativi o addirittura geniali, nuove leve nella propria area oggi, non dico sia impossibile ma bisogna avere molto coraggio artistico per un lavoro sia diciamo valido che riuscito. Oro: Opus Alter in un certo senso lo è, sia al mio ascolto, che per molti settori musicali e musicanti con i feedback recenti di stima.

I riferimenti musicali relativi all'album come per il predecessore ancora una volta sono sempre chiari: Sleep, Neurosis, Electric Wizard e tutta la scena d'oltre oceano heavy-psych stoner doom che è attiva come lava incandescente già da parecchi anni.


Sapranno Urlo, Vita e Poia ancora evocare tali riti di comunicazione con l'universo? E dopo la trasmutazione purificatrice tramite l'oro alchemico, riusciranno a varcare la soglia di queste due ultime prove?  Direi di aspettare che il tempo faccia il suo corso tramite ascolti attenti dell'album e prove dal vivo – Oro:Opus Alter verrà presentato questo ottobre con un tour in giro per mezza Europa - dove i nostri adepti ci daranno prova (http://www.youtube.com/watch?v=M8Dn7e97-DA ) del loro monolitico e imperioso sound.








mercoledì 22 agosto 2012

La Piramide Di Sangue - Tebe (Sound of Cobra - Boring Machines, 2012)




 Non si ferma l'italiota saga della psichedelia esoterica occulta, portata avanti da un gruppo sotterraneo (ma fino a un certo punto) di artirti italiani (Father Murphy, Mamuthones, Heroin in Tahiti, Cannibal Movie, Squadra Omega, Spettro Family, Orfanado) che con un forte desiderio di elevare il sound italiano verso altri luoghi sta mettendo su sabbath, oracoli e riti con una cifra sonora meritevole e che in un certo qual senso mancavano dai tempi della sensibilità “spaghetti prog”. A coadiuvare questo “movimento” ci stanno etichette, operatori del settore e giornalisti tra cui udite udite Simon Reynolds, il quale si dovrebbe ringraziare per i toni di stima per la nuova “scena” presenti nel suo blog; e nonché per il coraggioso lavoro di ricerca e promozione, l'etichetta Boring Machines.


Difatti, sempre rimanendo nel contesto della suddetta etichetta, oggi avremo a che fare con “Tebe”, il primo album dei Piramide Di Sangue - gruppo progetto di Stefano Isaia aka Gianni Giublena Rosacroce (già voce dei Movie Star Junkies) - in cui è attorniato da altri sei musicisti già Love Boat e Vermillion Sands. Una piccola premessa è data fare, l'album ha già un suo piccolo propedeutico predecessore, ovvero la cassetta “La Piramide Di Sangue” (2010) a nome dello stesso Gianni Giublena, uscita per la Avant! Records.


Ma veniamo all'album. Esso ha per dichiarazioni ufficiali della band influenze che partono da Sun Ra, sviano per il kraut, gli Art Ensemble Of Chicago e arrivano fino al noise e alla psichedelia. Ma c'è di più, qui siamo letteralmente in territori pre-sahariani, in stanze di muezzin imbandite di narghilè dove accendere sonici culti mediterranei a qualche dio pagano della musica e capire se suddetti dei ci reputano, appunto, degli sperimentatori o degli amanti della retromania. I sinuosi movimenti di arabesco del clarinetto presenti nell'album ci accarezzano l'ascolto, le chitarre e gli effetti noisy che stanno a increspare e contornare il discorso combattono (si fa per dire) con la sezione ritmica che si rivela come la parte dell'ensemble più presente e in avanscoperta. L'album scorre tra una composizione e l'altra come se le tracce o tutto album avessero addosso un famelico segreto che vorrebbe rivelarsi solo per pochi adepti o per coraggiosi iniziati.


Un sound esoterico o qualcosa di più accessibile quindi? L'arcano mistero sta nel compenetrare insieme l'afflato rock, noise e le sonorità “etno-mediterranee”, zigane (tzigane) o zingare e compattarle in qualcosa di unico: Tebe, per l'appunto; predecessori come East Of Eden in Inghilterra ed Embryo e Agitation Free nella di Alemannia (area krauta, ma guarda un po') avevano già fatto scuola negli anni settanta con gli stessi ingredienti, difatti.


Sicuramente, una piacevolissima uscita discografica, da avere a tutti costi se volete. Ma poi non vi lamentate, se è il vuoto quello che ci circonda, la curiosità orsù ci salverà.


Viva la psichedelia italiana, viva la psichedelia tutta. Salam aleikum.


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giovedì 28 giugno 2012

Ufomammut - Oro:Opus Primum (2012) - Neurot Recordings



Tutto è fermo, tutto è in movimento: la ciclicità, la reiterazione, il mantra, il suono delle meteoriti che sfiorano il nostro mondo. Con gli Ufomammut (Poia – chitarra, Urlo- basso, voci e synths e Vita - batteria), le definizioni e i termini spendibili hanno molto probabilmente a che fare con tutto questo; riflessioni sull'esistenza umana, sulla prima donna sulla Terra e la sua ribellione al creatore (vedere il precedente concept album Eve - 2010) Per Oro: Opus Primum, uscito per la Neurot Recordings, etichetta gestita da Scott Kelly, uno dei fondatori dei Neurosis, i ragazzi rincarano la dose e, oltre a promettere un atto secondo (Oro:Opus Alter) per quest'autunno, stavolta s'introducono dentro processi alchemici, processi che tramite la conoscenza tramutano le paure in pura essenza, in Vita, essa stessa possibilmente controllabile dalla mente umana dentro quel processo magico e in continuo divenire chiamato Cosmo, Tutto.


L'impianto sonoro dell'album fa riferimento al loro ben collaudato e mastodontico muro di suono, messo a punto in questi ultimi anni, sopratutto da Idolum (2008), punto di svolta verso lidi molto più spacey e psichedelici. Oro naviga come se gli Sleep avessero incontrato i Pink Floyd nella biblioteca di Mago Merlino e stessero per imbandire un tè all'acido con gli Isis e i Neurosis. Tutto ciò per dire che la componente sludge, doom e stoner viene in contatto, egregiamente, con una psichedelia pomposa, pesante. Riffs al granito siderale si riempiono di effetti space, tramite l'uso non indifferente di synth e, dietro l'angolo, possiamo scorgere, coraggiosamente, movimenti kraut da incedere cosmico. Dobbiamo, però, confermare che il lavoro non si discosta dalle ultime imprese del gruppo, ma è la vittoria, la loro fortuna. Una ricerca stabile, verso le cavernose visioni che il trio ci vuole regalare, fieri di non sbagliare un colpo, e il sound lo dimostra: compatto, magniloquente, un preistorico nel futuro.


Si scrive e si parla da più parti che le loro creazioni siano decisamente sopravvalutate, ma come spiegare la incessante e continua presenza sui media di settore italiani e sopratutto stranieri? Le risposte non stanno sempre a portata di mano ma in questo caso è una sola: l'orgoglio delle proprie idee, senza star per forza a guardare cosa ci sta dietro l'angolo e scopiazzare di qua e di là. E' ricerca, cura, attenzione verso i dettagli, se pur minimi, di un suono che sa di messa nera dentro una lezione di astronomia. Il tuo primo ascolto degli Ufomammut potrebbe partire anche da qui, se lo vuoi, ma siamo, dovremmo, essere curiosi.


Sito ufficiale Ufomammut

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mercoledì 23 maggio 2012

Verranno a prenderci.


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Spore Festival 2012 - Festival della cultura indipendente


Le cellule del Festival Spore continuano a propagarsi con sempre maggiore qualità e insistenza per diffondere al meglio il loro genoma culturale. Il festival è già al suo terzo anno, si svolgerà dal 14 Giugno al 17 Giugno a Bologna, all'interno del Lazzaretto Occupato tramite l'organizzazione laboriosa dell'associazione Farm e il patrocinio del comune bolognese all'interno del cartellone di Bologna Estate.


 Il programma è e sarà fitto di musica (concerti, improvvisazioni, dj set), editoria, tavole rotonde, stands, merchandising, installazioni audio e visuali, praticamente un ben di dio. L'intero spazio del festival sarà gestito e diviso in diverse zone: area improroom, area concerti, area outdoor, area stalla, zone tutte dedicate alla musica dal vivo, e altre aree dedicate ai dibattiti e al merchandiser e udite udite, area free camping. Da segnalare tra gli innumerevoli concerti, sicuramente i Morkobot, Uochi Toki, Amavo, Luther Blissett, Musica per Bambini, Marcello Di Lorenzo, Barbagallo, Naked Musicians. Per quanto riguarda le tavola rotonde segnaliamo

“Prassi dell’ autoproduzione efficace” in cui interverranno i curatori dell’edizione italiana del libro ”The New Rockstar Phylosophy” (NdA, 2011) e la tavola “Politica della recensione ed economia del disco” e altro ancora e ancora.

 

Sicuramente un appuntamento da considerare seriamente e da non disertare, che punta alla cultura indipendente, alla musica con la emme maiuscola e alla riflessione di quello che il futuro potrà riservare agli artisti e agli specialisti di settore e non. Ma anche un momento di convivialità e incontro tra amanti dell'arte e di discorsi “altri”, per ribadire ancora una volta che la musica italiana e l'arte in genere in Italia vivono e non vegetano. Sotto il link per il programma completo sul sito ufficiale e il canale di YouTube per capire ancora meglio di cosa stiamo parlando, per ascoltare, visionare o semplicemente, per chi già conoscesse Spore, aggiornarsi.

 


Festival Spore 2012 - Programma completo


Festival Spore su YouTube


venerdì 18 maggio 2012

New Candys – Stars Reach The Abyss – Foolica Records (2012)



Abbandonare la fredda provincia veneta con la sola mente e ritrovarsi a S.Francisco potrebbe essere roba da folli visionari ma a volte la musica (che è forse la nostra unica amica?) ci prende per i neuroni e ci trasporta in una catarsi tra luci e ombre verso le spiagge californiane. Questo è uno dei poteri visionari ed evocativi che Stars Reach The Abyss, primo album dei New Candys, potrebbe avere sulle nostre labili menti ma allo stesso tempo attente, pronte all'ascolto.


Il gruppo proviene da Treviso, nati nel 2008, il suo nome è l'intreccio tra il cognome di Anton Newcombe (leader dei The Brian Jonestown Massacre) e Dandys, nick-name dei Dandy Warhols. E già qui i riferimenti musicali dovrebbero già essere chiari e dicono:neo-psichedelia. Siamo in questi territori sonori, difatti e potrebbero venire alla mente, solo per fare alcuni nomi:The Black Angels, The Warlocks, The Jesus and Mary Chain, e se penso a qualche scena del passato gli anni sessanta acidi e il Paisley Underground.


La band aveva già fatto uscire un ep nel 2010 dal nome New Candys, registrato in analogico per volere della stessa, contenente cinque brani. Col nuovo album aggiungono nuove sonorità e un nuovo intento che colpisce al primo ascolto. Oltre a una più accurata e precisa risoluzione dei suoni in fase di produzione e registrazione, Stars Reach The Abyss ci accompagna verso lontane stelle psichedeliche, ci ammalia con arabeschi di chitarra e c'imbeve di un certo afflato mistico intriso di orientalismi coabitante con un corposo sound e liriche cantate solamente in inglese.


Come dicevamo l'oriente e la sua influenza sono ben presenti nell'album, pezzi come Sun Is Gone ('Till Day Returns), Welcome To The Void Temple e Niburu sono classica prova di come un sitar, tamburelli, delle chitarre e relativi strumenti possano portare l'ascoltatore verso est e farcelo rimanere per tre o quattro minuti, direi superlativo. Gli altri pezzi del blocco, anche se è un po' riduttivo riassumere così la faccenda, ci portano all'orecchio un rock-psichedelico di scuola americana, con la città di Austin e la sua scena, come esempio su tutte.


Infine, ci sono svariate premesse per una delle rivelazioni italiane dell'anno e le premesse stanno nei contenuti, contenuti possibilmente già sentiti, ma che sanno di autenticità, passione e ricerca sonora da non sottovalutare, sopratutto nel panorama nostrano. Ben fatto.






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domenica 29 aprile 2012

Giardini di Mirò – Good Luck (2012) – Santeria





"Future is coming slow

as a thin trasparent easy row

We walk as fuckers

trading words for our lies”



Anni fa uscì “Il fuoco” (2009), penultimo lavoro dei Giardini di Mirò, band di Cavriago, Reggio Emilia. L'album era la sonorizzazione dell'omonimo film di Giovanni Pastrone del 1915. Il lavoro era decisamente più arduo e sperimentale rispetto all'album precedente “Dividing Opinions” (2007), più focalizzato sulla forma canzone e sul cantato, pur sempre non rinnegando ricercatezze sui suoni, manteneva più o meno salde radici post-rock e shoegaze, confermando, difatti, pur sempre la vena strumentale del gruppo. Comunque, dopo la loro prova estemporanea e cinematica è il momento fatidico di “Good Luck” (2012), uscito per Santeria il trentuno marzo, esso è infatti l'ultimo lp ufficiale della band emiliana. Il titolo è, infatti, già un augurio per noi tutti e per il nostro futuro; e che vogliamo fare, siamo in Italia, c'è la depressione economica post-contemporanea, ci sono le banche, ci sono i debiti, ci sono le menzogne e sopratutto ci sono le persone che hanno bisogno di fortuna e, anche consapevolezza per non cadere da questo filo penzolante che è l'oggi, qui e ora.


Ma parliamo dell'album. Esso si presenta come un affresco più o meno variopinto dei suoni che hanno fatto la fortuna e il marchio della band:tipiche chitarre post-rock, ambientazioni shoegaze e space rock. Però non è tutto qui, sarebbe facile o direi, quasi un fiasco se avessero mollato i loro ormeggi sulle stesse coste sonore e su idee mescolate e rimescolate negli anni. La grande novità, se così vogliamo chiamarla, sta innanzitutto sul cambio di guardia alla batteria tra Francesco Donadello (produttore dell'album), non più di stanza emiliana ma bensì berlinese, con al suo posto Andrea Mancin che si distingue per il suo drumming deciso e incalzante. Andando avanti possiamo per certo affermare che i Giardini di Mirò siano arrivati a un definitivo consolidamento verso la forma del cantato, difatti, tutte le canzoni dell'album (tranne una) contengono la voce di Corrado Nuccini e Jukka Reverberi, con il featuring per “There is the place” di Sara Lov dei Devics e Angela Baraldi per “Rome”.


Le canzoni, otto nel totale, appaiono a un primo ascolto accurato, un tentativo, più o meno riuscito, di rinnovarsi, anche cercando di catturare un sentimento o una visone che sia più o meno fedele all’attuale società, con il suo vacuo e precario sentire; le liriche dei testi, difatti, fanno centro verso questo sguardo, tra malinconia, speranza, sentimenti e incedere della vita, ci concedono amare e romantiche riflessioni autunnali verso una primavera di riscatto che ancora attendiamo famelici.


I pezzi si contraddistinguono tra ballad intimistiche e crepuscolari come Memories, dinamiche pulsioni kraut-wave come le bellissime Time On Time e Ride e composizioni dove possiamo rintracciare i suoni che hanno, più o meno, contraddistinto la band tra cui Rome, Good Luck (l’unica strumentale), Spurious Love (con le chitarre di Stefano Pilia, Massimo Volume) Flat Heart Society e il meraviglioso affresco romantico post-rock di There is The Place.


Da uno scambio di battute a un loro concerto tra il presentatore e loro stessi, cito:”Dopo “Il fuoco” dei mercati e le opinioni che ci dividono sul futuro abbiamo bisogno davvero di questa inevitabile fortuna[...] Fa sempre piacere dopo una giornata vissuta nel mondo esterno, andare a letto e sentirsi dire o dirsi da soli “Buona Fortuna.””. Ecco, sta qui, tutto il contenuto poetico e il significato che quest'album vuole donarci. Poetico come un bacio tra innamorati al parco di Mirò a Barcellona.


http://www.giardinidimiro.com/

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domenica 15 aprile 2012

Benedette citazioni

"il mio disgusto, di fronte all’evidenza che il punto ii) è dovuto alla diffusissima mentalità mafiosa, laddove «se non sei uno di noi non suoni», ovvero: se non lecchi il culo a certe persone (che mi fanno schifo) non vai da nessuna parte."


domenica 8 aprile 2012

Walking The Cow – Monsters Are Easy To Draw – White Birch Records (2012)



Decisamente molto ispirato e di respiro internazionale quest'ultimo full-lenght dei Walking The Cow intitolato “Monsters Are Easy To Draw” uscito il 21 febbraio 2012 per White Birch Records. La band nasce a Firenze dall'incontro proficuo di Paolo Moretti e Martino Lega dei Pentolino’s Orchestra con Nico Volvox e Bardus dei Mirabilia, con curriculum musicali di meritabile rispetto, all'interno della scena indie italiana. La formazione ha anche all'attivo collaborazioni di un certo livello con Pete Bassman (Spacemen 3, Alphastone) e Simon House (Third Ear Band, David Bowie) e ha condiviso il palco, tra i tanti, con Motorpsycho e Arab Strap. I fiorentini hanno anche all'attivo ben due ep di ottima caratura:Gengis Khan Vs Sarah Cat del 2007 e l'omonimo del 2011. L'ultima uscita, ecco, si muove egregiamente tra ottime scelte melodiche legate a un registro indie pop-rock, neo psichedelia, un buon gusto per certe tastiere d'annata, folk e un'indietronica velata ma presente, sopratutto, in alcune partiture per batteria elettronica. Sicuro punto di forza è anche la voce di Michelle Davis, che adopera le sue sicure e delicate corde, tra una Laetitia Sadier più melodiosa (Stereolab) e una Trish Keenan, pace all'anima sua (Broadcast). Le canzoni sono ben registrate e portano con se un certo mood giocoso e divertito (River P., Nightknocking) ma non disdegnando parentesi più “intimiste” (Monsters are easy to draw, Sweetheart), più elaborate (Jesus (buy some porns)), dove le melodie si fondono con gli arrangiamenti e la parte ritmica, determinate da un efficace tecnica strumentale dei musicisti. L'uso della lingua inglese per i testi è appropriato, sicuramente se pensiamo che l'album nel suo disegno ha, più o meno, precise e importanti influenze esterofile:i sopracitati Stereolab e Broadcast, ma anche Fiery Furnaces, i Psaap di The Camel's Back, dei Pram meno post-rock e un certo indie italiano, sopratutto nella scelta di alcune melodie. L'album, quindi, possiede tutte quelle qualità affinché possa avere la sua giusta esposizione mediatica e i suoi meritati feedback nei vasti territori di settore. Io lo spero, diamogli una mano.





venerdì 30 marzo 2012

Aetnea - Aetnea (2011)




Scrivere per un gruppo che per questioni geografiche appartiene alla tua stessa città di origine potrebbe riservare conseguenze inaspettate e di parte, ma non è il mio intento, lo affermo, o almeno proverò a limitare le lodi superflue. Nel caso degli Aetnea, quasi sicuramente, la mia reazione estetica è di pieno appoggio al loro lavoro, fatto con precisione, eleganza e con intento di chi sa che quel che vuole. Il loro progetto prende il via nel 2009 da parte di Luca “Bj” Bajardi, Boris Giuffrida ed Enrico Strano, con la volontà artistica di superare certi cliché e stereotipi insiti in alcuni ambienti musicali e come scrivono loro stessi sul proprio manifesto in rete: “superato un approccio classico al rock metal e all'elettronica, il collettivo aetnea prende il suo abbrivo con soluzioni nuove ai problemi di line-up, percorrendo strade convergenti tra generi diversi” […]. Infatti, partiti come terzetto, il gruppo si è avvalso di vari collaboratori per la registrazione dell'album omonimo, uscito di recente, registrato agli Overflow Studio di Catania.


All'interno del lavoro si susseguono e si miscelano attenti vari suoni e generi: dal post-metal al jazz e dall'elettronica al dub. L'album si presenta tra pezzi che suonano come veri e propri affreschi cinematici electro-ambient (We Love..., Bile Gialla, EyE) e pezzi programmatici che mettono in risalto, in maniera ben più evidente, le idee del collettivo.


 Si inizia con Vartan Dub, contraddistinta per pulsioni dub rock e ritmi math che ci consigliano come i ragazzi la sappiano lunga su Meshuggah e affini. Odessus, invece, ci porta nei territori post-metal degli Isis e i muri di suono alla Pelican, una calma rabbia si prende gioco di noi, vuole rilassarci ma è magma puro che cola dalle frange degli strumenti, pieni di pathos, con un clarinetto che si giostra come onirico alle spalle dei giochi di suoni del pezzo, ameno da ogni autoreferenzialità. Béla Bartók, è uno tra i due pezzi manifesto, insieme alla cover 4'33'' di John Cage, per quanto riguarda influenze d'avanguardia (difatti il nome del pezzo è tutto un programma). Si notano l'ottimo l'uso della voce e soprattutto l'uso orientaleggiante del sitar. Contrappunto è o sembra pura computer music, pezzo contorto, ma di ampio gettito che sposta il mood dell'album su riflessioni altre, rispetto alle sezioni più analogiche del lavoro. Per Atrabile, mi sembra quasi scontato, il mio primo pensiero è volato verso Emidio Clementi (Massimo Volume, El Muniria), ovviamente, per l'uso narrativo ed emozionale della voce. Per quanto riguarda l'aspetto strumentale, rimaniamo su territori già visitati, chitarre post-rock, field recordings e consona esplosione apertura strumentale ad accomiatare il pezzo. Se John Coltrane potesse almeno per un attimo capire da là su che l'ultimo pezzo del comparto (Giant Things) ha per titolo una citazione-combinazione di due dei suoi tanti capolavori: Giant Steps e My Favorite Things, di certo ne sarebbe entusiasta o almeno porgerebbe la mano agli Aetnea per l'uso superbo delle citazioni. Comunque, il pezzo(ne) scorre coraggiosamente alternato tra jazz, elettronica d'atmosfera e rock malato ponendo un “full stop”, deciso e nobile, all'album. Una fine che sa di auspicabile continuità futura, per progetti a venire, per nuovi sviluppi sonori, per tutto. Se per ovvietà oggettiva, questo è un lavoro da band emergente, “figlia”di un humus territoriale che ha già in passato dimostrato prove eccelse, farà parlare di se per ragioni che solo l'ascolto ci potrà chiarire ed evidenziare. Semplice e letterale, una parola: meritano.

 



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