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giovedì 24 settembre 2015

Stefano Pilia - Blind Sun New Century Christology (Sound Of Cobra Records/Tannen Records)



Per chi conosce artisticamente Stefano Pilia affiliato a band e progetti (Massimo Volume, In Zaire, Cagna Schiumante, Afterhours, Il Sogno Del Marinaio) o soprattutto, ma puntualizziamo il soprattutto, il Pilia compositore cordofono sperimentale in solitaria, un'opera come questa potrà risultare meno in “linea” o meno “derivativa” rispetto le sperimentazioni avant-ambient o free form del passato: possiamo citare su tutte “Action Silence Prayers”, uscita per la Die Schachtel nel 2008. 

Però, prendersi la responsabilità di codeste affermazioni trova la sua radice ultima nell'intenzione del musicista di coaugulare, nei vari pezzi dell'album, il proprio e vasto background musicale; come a tessere un piccolo grande bozzetto, potremmo scrivere manifesto, di varie influenze e idee per lo più pregevoli e di elevata caratura seminale. Già a partire dal titolo, e che titolo, con “Blind Sun New Century Christology” ci si affaccia d'avanti, come in uno specchio, un immortale desiderio intimo d'iniziazione, di mistica, di riscatto e di una nuova fede per un rinnovato umano ri-trovarsi.

 Per dare il via a cosa potremo ascoltare, immaginiamo un certo John Fahey e un certo Blind Willie Johnson (la Dark was the night, cold was the ground è una rivisitazione di Stefano) trovarsi insieme a comporre, in un Gestemani paradisiaco, un'ultima e definitiva piece monumentale di american primitivism guitar, mentre un Loren Mazzacane Connors dal sorriso beone prova a ristorare la composizione con aeriformi note di chitarra elettrica mentre appare alla madonna dei suonatori. 

Sarebbe facile e sbrigativo descrivere l'opera solamente con questo idilliaco quadretto. Ecco, abbiamo citato Johnson precedentemente. Perché anche non citare un altro gospel bluesman, all'anagrafe Washington Phillips, autore della splendida “What are the doing in heaven today”, suonata in chiave strumentale nel disco? Fatto. Da qui potremmo pensare erroneamente che l'album in questione sia un tributo più o meno esplicito al blues del Texas o all'american primitivism. Nè un sí né un no, in medio stat virtus in questo caso.

 A dar man forte alla nostra piccola tesi troviamo pezzi come “Blind Sun”, e come no “Blind Moon”, che ci ricordano come l'eredità di certo kraut più delicato (Popol Vuh su tutti), in uno sposalizio estatico post rock, possa essere rimessa in luce in maniera pregevole e dritta verso il cielo in soli tre minuti di trasfigurazione dal monte Tabor. “Getsemanhi Crickets Night Air” e “The Cross Peregrin Falcon N.C.” ci ammantano di profonde tassellature di note, carillion che escono da preghiere laiche, parchi malinconici dove bambini giocano, ripensano in slow motion. “Stand Behind The Man Behind The Wire”: l'unione, appare, scoperchia le ferite. Sole-Luna e tra la loro “distanza” alchemica ci siamo noi: Uomo-Donna, gli apotropaici ascoltatori per un nuovo secolo, per una vita nuova redenta.


Stefano Pilia ci dona un oggetto nascosto di una consolazione dimenticata, malinconie di essenze presenti, polveri di pensieri sinceri trasmigrate in lande dove l'avanguardia non è più utopica cecità ma è dolce, amica, esorcizzata.